Questa è la storia di due amici che poco lontano da Genova nel
dopoguerra realizzano artigianalmente due
esemplari di moto.
Siamo negli anni Cinquanta, la guerra è finita da poco, la voglia
di ricominciare è tanta. Genova è una città che tenta di risollevarsi,
partendo dalle proprie macerie, dove ognuno cerca un riscatto dagli
orrori di quel periodo terribile.
Non lontano dal capoluogo ligure verso ponente, c’è una zona
operosa ed industriale che non ha mai cessato la produzione di carta: la vallata
di Acquasanta. E’ in questa delegazione che nel 1911
nascono due bambini, i cui destini si incroceranno per sempre, legati
dal lavoro e da un’impresa unica che merita di essere raccontata.
I due amici si chiamano Giobatta
Caviglia e Giuseppe
Parodi: il primo è falegname, dalle sue mani il legno
prende forma e si modifica docilmente quasi per magia, l’altro invece è
un tornitore, lavora e fonde il metallo con abilità unica. Non si sa
esattamente come sia nata l’idea e come si sia sviluppata, quanto ci
abbiano studiato prima e lavorato poi, ma di certo il tempo non deve
essere stato poco per giungere all’obiettivo prefissato.
Infatti la caparbietà dei due li ha portati a realizzare un
sogno, che forse economicamente non erano in grado di permettersi.
Magari avranno girato la testa al passaggio di una Moto Guzzi “Airone” o
di un Gilera “Saturno” che sfrecciavano lungo la strada polverosa sotto
casa loro, sognando di guidarne una. Chissà quanti motivi oppure
soltanto la voglia di sfidare quei marchi famosi, che ha fatto mettere
attorno ad un tavolo i due amici che dopo mille pensieri ed altrettante
discussioni hanno deciso: “la moto ce la costruiamo noi!”.
Un’idea folle, con i pochi strumenti e le limitate conoscenze,
eppure armati di grande volontà, capacità e di enorme fantasia. E allora
dopo progetti, disegni e grandi parole, ecco che il sogno diventa a poco
a poco reale. Le mani di Giuseppe e Giobatta lavorano alacremente
attorno al metallo, ai calchi in legno e ad ogni dettaglio. I due
compreranno solo le selle e le ruote, ma dopo un enorme sforzo, notti
insonni e domeniche chiusi in officina a realizzare il loro capolavoro,
che da li a poco vedrà la luce: la “Falco”. Gli amici sono due e le moto
costruite sono appunto due. Due pezzi unici nella storia delle due
ruote. Caviglia e Parodi non hanno intenzione di creare una casa
motociclistica ma soltanto di appagare il loro desiderio di viaggiare in
sella ad una moto vera, nata dalle loro mani.
E’ il 13 agosto del 1952 quando la penna stilografica del
funzionario del ministero dei trasporti scrive sul libretto di una delle
due: “Motociclo di costruzione artigianale, telaio e motore sprovvisti
di numero, assegnato d’ufficio il n° 92452”. Il mezzo viene regolarmente
immatricolato e riporta la targa GE 24866.
La moto “Falco” ha una cilindrata di 118 cc., diametro del
pistone 50 mm. corsa 60 mm., è un monocilindrico quattro tempi a due
valvole che eroga una potenza di 2 CV.; all’anteriore troviamo una
forcella con ammortizzatore centrale in testa, mentre al retrotreno ci
sono una coppia di ammortizzatori “tradizionali” ma anche in orizzontale
una coppia di pompanti paralleli al telaio che aumentano l’effetto
smorzante del forcellone, una specie di sistema “softail” in stile
Harley Davidson, che però arriverà circa trent’anni dopo…
Il cambio ha tre marce con un selettore esterno posto dietro il
cilindro, davvero bello da vedere. Anche la frizione ha un sistema di
leveraggi notevole ed è collocata sul lato sinistro del blocco motore.
Osservando le fusioni e le saldature, si nota anche con occhio non
esperto, una decisa artigianalità nella costruzione dei pezzi ed alcune
tracce che indicano l’autentica realizzazione a mano di ogni singola
parte del mezzo. Il blocco motore riporta stampigliata la sigla
attribuita dalla motorizzazione indicata nel libretto.
Le
moto circoleranno regolarmente sul territorio genovese come mezzo di
famiglia. Un aneddoto raccontato dagli eredi Parodi riporta un giro di
Giuseppe con la consorte verso il basso Piemonte, lungo quella strada
del “Cremolino” che ancora oggi tutti i motociclisti locali amano. In
direzione del paese di Visone, la moto ha un problema alla forcella, che
si spezza in un punto. Il mezzo inizia a sbandare vistosamente mentre il
suo pilota cerca in ogni modo di tenerla in piedi e vi riesce nonostante
tutto, raggiungendo il ciglio della strada. Un’auto che passa di li, i
cui occupanti hanno osservato integralmente la scena, si ferma e i
passeggeri chiedono a Parodi come abbia fatto a tenere la moto in quel
modo. L’uomo risponde sorridendo “Questa moto mi conosce troppo bene… e
io lei…”. Ovvio è nata dalle sue mani…
I due mezzi viaggeranno lungo le strade liguri finchè l’arrivo
dei figli e la necessità di un’auto nelle famiglie dei due amici segnerà
la fine della loro carriera. Le moto rimarranno chiuse nei rispettivi
box, non dimenticate ovviamente, ma ferme. Poi, un giorno del 2015, ad
oltre cinquant’anni di distanza, una chiacchierata tra appassionati
riporterà la storia delle “Falco” alla ribalta e con questa la voglia di
raccontare questa vicenda davvero unica.
Oggi le famiglie proprietarie delle due moto vorrebbero
ricondizionarle e rimetterle in strada. Noi siamo pronti a sentirle
pulsare ancora…
Un ringraziamento speciale all’amico Elvio Picchia per la grande
ricerca di contatti svolta ed agli eredi Caviglia e Parodi per la
disponibilità offerta.
Roberto
Polleri
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