Ci
sono marchi motociclistici che hanno segnato tappe importanti della
passione per le due ruote in Italia. Alcuni di questi sono poi scomparsi
ma restano nell’immaginario collettivo: “Rumi”, “Demm” e “Parilla” sono
alcuni di questi, ma il marchio che andremo a scoprire oggi ha davvero
caratteristiche di unicità e particolarità che susciteranno l’interesse
di chi ama le due ruote a motore. Stiamo parlando del marchio Mi-Val,
storica fabbrica della Valtrompia.
Oggi, grazie a Giuseppe Rebora, appassionato ligure, percorreremo la
storia di questa casa motociclistica italiana, che ci rivelerà aspetti
davvero unici.
La storia
Durante la seconda guerra mondiale, a seguito dell’armistizio del 1943,
un’importante industria meccanica della provincia di Bologna, la
“Officine Minganti” dirette dall’omonimo ingegnere si trasferisce a
Gardone Val Trompia in provincia di Brescia, in previsione dell’avanzata
delle truppe alleate. La produzione si stabilizza in Lombardia anche
dopo la fine del conflitto. E’ il 1950 quando una cordata fondata dallo
stesso Minganti insieme a Pier Giuseppe Beretta, Giuseppe Benelli e
Guglielmo Castelbarco, decide di avviare un’azienda di produzione di
veicoli leggeri ed economici ideali per la motorizzazione del del Paese
in fase di ricostruzione. Minganti ha la conoscenza tecnica e meccanica,
Benelli pure, Beretta è un noto imprenditore nel settore delle armi con
azienda attiva proprio a Gardone Val Trompia ha i mezzi di produzione,
ed infine Castelbarco che si associa all’impresa dei tre. Il marchio
“Mi-Val” sta a significare –Metalmeccanica Italiana Val Trompia-. L’idea
iniziale è quella di creare veicoli robusti ed economici, spinti da
motori due tempi sullo stile della DKW 125 RT, mezzo prodotto in
Germania nel 1939 e ritenuta una delle moto più copiate al mondo.
Ispirata alla teutonica RT, nasce la “Mi-Val 125 T”,
capostipite
di una vasta produzione. La cilindrata salirà poi a 175 cc. ed anche a
200 cc. con la realizzazione di motori anche a quattro tempi,
utilizzando soluzioni meccaniche brillanti che garantiranno una semplice
manutenzione ed una grande solidità complessiva dei veicoli. La grande
adattabilità dei mezzi bresciani permette l’allestimento di varie
versioni sportive e per il fuoristrada, cosicché la “Mi-Val” ottiene
vari successi importanti, come il “Campionato Nazionale della
Regolarità” conquistato nel 1956, come appare orgogliosamente sul
serbatoio di una delle moto in livrea blu ed oro. Anche il fuoristrada è
spesso dominato da questi mezzi, tra cui la notissima “Carrù” che con il
pilota Emilio Ostorero sul finire degli anni Cinquanta domina la scena
delle due ruote tassellate. Dopo lo splendore il calo. La Mi-Val è
presente al salone della moto del 1959 con uno stand che fa ben sperare:
nuovi modelli 250 e 350 cc. vengono presentati al grande pubblico ma
purtroppo non vedranno mai la luce. La ditta di Gardone chiuderà i
battenti definitivamente nel 1960, dopo aver realizzato alcuni
ciclomotori motorizzati “Franco Morini” o “Minarelli”. Con la scomparsa
di Minganti ed il declino dell’industria motociclistica, a seguito
dell’invadenza delle auto utilitarie, il destino della fabbrica di moto
appare segnato. La produzione a due ruote smette del tutto per
convertirsi in industria delle armi e di produzione di macchine
utensili. Il marchio Mi-Val è acquisito dalla Beretta ed anche le
scritte sulle fabbriche di Gardone Val Trompia spariscono.
I Ricordi
Eppure le moto il cui nome include quel trattino rimangono nella memoria
degli appassionati che, grazie a recuperi e restauri mantengono vivo il
ricordo di questa casa motociclistica italiana. Uno di questi è Giuseppe
Rebora, lui, abile meccanico, e tornitore con le mani d’oro in
ogni lavoro, ci spiega la grande qualità di questi mezzi e la nascita
della sua passione per loro. "Ero un ragazzino quando con alcuni amici
poco più grandi ci incontravamo presso una fonte di acqua solforosa poco
lontano da casa per ammirare i mezzi. C’erano Mondial, Demm e Guazzoni.
Tra loro c’era anche un mio cugino con una Mi-Val 125T, lui era molto
appassionato ma con l’arrivo della prima auto ha lasciato la moto a me
che ho iniziato a guidare ed anche a smontare...”, spiega sorridendo. Da
quel momento in poi il marchio bresciano è rimasto nel suo cuore e, una
dopo l’altra ha acquistato i vari modelli. “Mi piace il livello
costruttivo molto elevato: ogni componente meccanico è di altissima
qualità, alberi motore cementati, metalli trattati termicamente, vernici
resistenti”. L’elevato standard costruttivo si nota dalla marchiatura
“Mi-Val” su ogni singolo componente, dalle manopole alle bielle, dai
pedalini agli scarichi. Un segno semplice, eppure tangibile di grande
livello di personalizzazione su mezzi con oltre cinquanta anni di
storia. Queste sono le prime moto in Italia ad avere il cambio a cinque
marce, ci spiega Rebora mostrando il tamburo del cambio della
trasmissione desmodromica che garantisce innesti rapidi e precisi, ma
non solo, anche grande cura del dettaglio e innovazione. “Guarda
qui...”, mi dice Giuseppe indicando un faro di una delle moto,
“...proprio dentro al proiettore i tecnici avevano realizzato un
cilindretto di plastica trasparente con una serie di piccole bolle
d’aria che riflettevano la luce, illuminandosi quando il faro era
acceso”. “Una fibra ottica ante litteram!”, esclama Alessio, abile
tecnico e fine osservatore. “Esatto... ed eravamo negli anni
Cinquanta...”, replica Rebora con un sorriso, sottolineando il grande
lavoro di progettazione svolto dalla piccola casa lombarda, che nella
sua storia ha realizzato altri oggetti davvero molto particolari, con
ruote e non.
Produzioni speciali
Valletto da panettiere
Una menzione la merita il “Valletto da panettiere” uno scooter da 50 cc.
a ruote basse con due grandi portapacchi in metallo sia anteriormente
che sul retro del mezzo, strumento di lavoro per i fornai. Il veicolo
era dotato del motore Mi-Val che equipaggiava i ciclomotori ma dotato di
ventola di raffreddamento per forzare l’aria sul cilindro, non essendo
questo direttamente esposto.
Mivalino
Cosa
dire poi del “Mivalino”, ovvero un motoveicolo cabinato a tre ruote, due
anteriori ed una posteriore, una sorta di aereo senza ali spinto da
motore monocilindrico a due tempi da 175 cc., costruito su licenza “Messerschmitt”,
del quale porta il simbolo abbinato alla scritta “Mi-Val” sul muso. Il
mezzo aveva avviamento elettrico e retromarcia. Poteva ospitare due
persone. Un mezzo avveniristico che non ha avuto un successo
commerciale, offuscato dalla preponderante presenza delle automobili
che, con costi abbordabili garantivano maggiore capienza di persone e di
oggetti.
Delfino
Ma
la genialità del marchio non si ferma qui. L’inventiva dei progettisti
di Gardone realizza un mezzo per spostarsi in acqua: il “Delfino”.
Un vero e proprio gioiello, un water kart ovvero un natante mosso da
motore a due tempi che, grazie alla spinta imposta all’acqua, permette
di muoversi in mare o lago senza nuotare, anche a 12 mph e senza il
rischio di un’elica rotante. Un mezzo geniale, che se inavvertitamente
sfugge di mano al conduttore inizia a girare in tondo, rimanendo così
raggiungibile agevolmente. L’avviamento era a manovella, la quale
caricava una molla sul volano che una volta rilasciata generava
l’impulso per mettere in moto il monocilindrico. Il “Delfino” era un
oggetto geniale per chi effettuasse immersioni, potendo portare con sé
bombole d’ossigeno, uno strumento per il soccorso in mare e dalle mille
altre utilizzazioni possibili negli specchi d’acqua. Peccato che
l’alimentazione a miscela al 10% generasse il rilascio di olio
incombusto e di altri prodotti di scarto che rendevano il mezzo
inquinante. Nonostante questo, il progetto era davvero geniale, tanto
che la “Mi-Val” ha venduto la licenza in Canada, dove il “Delfino” è
stato prodotto per qualche anno per poi sparire definitivamente dalla
scena commerciale.
Cinebox
Da
ultimo, occorre citare un altro prodotto uscito dalla fabbrica della
Valtrompia: il “Cinebox”. Questo oggetto non ha nulla a che fare con i
mezzi a due ruote o natanti, ma era uno strumento di puro
intrattenimento. Era una sorta di juke-box dove inserendo una moneta era
possibile vedere il filmato di una canzone, da Peppino Di Capri a Chubby
Checker. Unico difetto del “Cinebox” era il sistema di proiezione di
tipo elettromeccanico, il quale era ad alto rischio di combustione. Per
questo ne restano ormai pochi esemplari integri. Giuseppe ne parla con
orgoglio, mi colpisce il suo entusiasmo e la sua preparazione.
Giuseppe
Oggi
sento di vivere un’involontaria lezione di storia italiana e di
meccanica raffinata, non solo grazie alla Mi-Val ma anche grazie
all’inventiva e la genialità di una persona che mi mostra qualcosa di
unico creato da lui.
Estrae
da una cassetta un ammortizzatore senza molla ma completamente chiuso,
simile a quello delle mountain bike attuali: “Questo è un ammortizzatore
–Stunker-...”, mi dice. Io ammetto la mia ignoranza... mai visti prima.
“Non hanno la molla perché sono a gas con doppio serbatoio... Unico
problema erano troppo costosi e sono stati abbandonati... per
revisionarli occorre smontarli e io ho costruito questo...”. Giuseppe
tira ancora fuori da un cassetto uno strumento fatto di due ganasce
ampie di metallo della dimensione degli ammortizzatori, con le quali si
blocca il pezzo nel morso per smontarlo senza danneggiarlo. “Me lo sono
costruito perché mi spiaceva usare una grande pinza che rigasse
inevitabilmente il corpo...”. Non ho parole. Incredibile la genialità di
questa persona che, oltre a saper montare e smontare i veicoli, a
verniciarli, è anche in grado di costruire da sé gli attrezzi per
migliorare il proprio lavoro. Meraviglioso. Una caratteristica ormai
rara nella società dell’usa-e-getta.
Ci
intratteniamo un po’ nella sua officina, sono davvero molti gli spunti
di riflessione che Giuseppe mi offre ad ogni sua parola. Un vero
piacere. Ci salutiamo e sento la sua stretta forte, di una mano in grado
di creare dal nulla qualcosa che si piazza a metà strada tra tecnica ed
arte. “Ti faccio vedere ancora questo... a te che sei Guzzista...”, mi
ferma un istante Rebora. Ecco che appare un pezzo di metallo lavorato,
apparentemente un ricambio banale ma così non è. “Questo è il supporto
del faro di uno –Sport 15- di un amico... che non riusciva a trovare da
nessuna parte... allora mi ha chiesto di costruirne uno.... ho fatto il
disegno... poi qualche prova... ed eccolo qui...”, mi mostra il ricambio
finito con orgoglio e le prove che lo hanno preceduto. Davvero
meraviglioso. Qualcosa di pensato e realizzato interamente a mano.
“Bellissimo...”, affermo senza poter dire altre parole, un’emozione
particolare, anacronistica in quest’epoca ipertecnologica. E sarebbero
ancora mille le idee, le soluzioni e le realizzazioni di Giuseppe, un
vero prodigio di capacità. Ci salutiamo ancora, ma sono certo che io e
Alessio torneremo a trovarlo di nuovo...
Roberto Polleri
Un
ringraziamento particolare all’amico Alessio Grosso per il prezioso
contatto fornito
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